Il Gruppo IVA italiano alla luce di alcuni orientamenti europei: l’utopica omogeneità applicativa degli istituti comunitari
Lo stile laconico dell’art. 11 della Direttiva IVA consente agli Stati membri di implementare in modo variegato un istituto quale quello del Gruppo IVA che nasce e si sviluppa in un contesto unionale. La tematica delle divergenze implementative da parte degli Stati Membri è nota sia alle istituzioni comunitarie che ai legislatori nazionali ed è coperta dallo schermo delle ratio sottostanti l’introduzione del regime del Gruppo IVA: la semplificazione, da una parte, e l’ottica antielusiva, dall’altra. Tuttavia, le differenze tra i regimi nazionali dei Gruppi IVA sono potenzialmente capaci di causare ripercussioni sul mercato interno e sui principi fondamentali del sistema dell’IVA e, pertanto, dovrebbero essere evitate. Un esempio pratico di tale principio è costituito da talune scelte fatte dal legislatore italiano nell’implementazione del Gruppo IVA, scelte che pongono una serie di interrogativi connessi alla compatibilità o meno delle stesse con il diritto dell’Unione Europea. Tale compatibilità non può essere basata su una mera enunciazioni delle ragioni su cui determinate scelte sono basate, ,ma deve essere avvalorata dalla capacità di dimostrare che quelle date scelte sono proporzionate e efficaci a conseguire l’obiettivo prefissato. In ogni caso, per risolvere il problema alla radice, sarebbe auspicabile armonizzare il regime del Gruppo IVA, introducendo definizioni e regole comuni che consentano la creazione di un Gruppo IVA europeo.